sabato 28 novembre 2009

mercoledì 22 aprile 2009

RELAZIONI PERICOLOSE - SICUREZZA, DIRITTI E AUTODETERMINAZIONE NELLA METROPOLI CONTEMPORANEA



Il progetto seminariale nasce dall'esigenza di costruire momenti di analisi e approfondimento accademico su alcuni temi che appaiono centrali nell’attuale dibattito pubblico, sia sul piano simbolico che su quello più legato alla dimensione reale della vita quotidiana: welfare, nuovi diritti e sicurezza.
La sicurezza in particolare sembra essere il concetto mainstream – quasi se si può dire il nuovo frame, dopo quello della guerra globale – attorno al quale si stanno dispiegando retoriche pubbliche che ci parlano di città blindate e desertificate, di paura della diversità, di ronde organizzate, di fenomeni di intolleranza, di razzismo.
Non passa giorno senza che le agenzie di controllo istituzionale e i mass media riproducano questa rappresentazione della realtà in modo unidimensionale e a tratti tautologico: le città sono insicure, quindi i cittadini hanno paura, quindi le città sono insicure. Ciò che recenti sondaggi hanno fatto emergere è infatti un fenomeno di “percezione” dell’insicurezza, una percezione alimentata dalla normalizzazione del discorso securitario in ogni ambito della vita quotidiana. Come una profezia che si autoavvera, la percezione dell’insicurezza costituisce il campo entro il quale le politiche “anti-degrado” e di “zero tolleranza” possono dispiegarsi senza alcuna opposizione.
In questo quadro generale sappiamo che la declinazione della paura e dell’insicurezza ha una connotazione di genere: intorno al corpo della donna (come madre, figlia, moglie…) si disegna simbolicamente la figura della vittima, debole per definizione, un corpo che necessita protezione, un corpo che viene violato, un corpo che non può determinare da sé la propria collocazione autonoma all’interno del tessuto urbano senza la tutela di qualcun altro.
Le prime “vittime” del regime di insicurezza sembrano essere quindi le donne, verso le quali si moltiplicano iniziative di “protezione” o criminalizzazione che vanno nel senso di un crescente controllo repressivo e poliziesco delle città.
Contemporaneamente l’insicurezza sociale si colloca in un contesto sociale, economico e politico caratterizzato ormai da una crisi strutturale conclamata. Precarietà, povertà, incertezza: queste sono le condizioni in cui si sviluppano sentimenti di paura e di instabilità di cui ancora una volta sono le donne a pagare il prezzo più alto.
La crisi mette in scacco un sistema welfaristico, quello fordista, che non è più in grado di rispondere al mutamento sociale in corso da oltre tre decenni. Il sistema di diritti di cittadinanza formulato nelle democrazie postbelliche corrisponde sempre meno alle reali dinamiche sociali, che sfuggono all’ordine familistico descritto normativamente, e si scontra con nuove esigenze e nuove rivendicazioni finora rimaste inascoltate. La crisi e le conseguenze dirette sulle vite di ognuno producono quel campo di insicurezza e paura così fertile alle strette repressive delle agenzie di controllo sociale istituzionale.
Fra i corpi femminili che abitano le nostre città ci sono anche quelli delle prostitute, oggetto negli ultimi mesi di un nuovo attacco proibizionista da parte delle amministrazioni locali e del governo nazionale. Il tema della prostituzione come fenomeno che genera allarme sociale viene agitato da mass media e attori istituzionali in un clima di crescente percezione di insicurezza. Facilmente collegabile al problema dell’immigrazione, che rappresenta ormai da anni il fenomeno sociale attorno al quale si costruiscono discorsi pubblici che alimentano la tautologia della paura e quindi la giustificazione della stretta securitaria, negli ultimi mesi la questione prostituzione è tornata al centro del dibattito politico in materia di contrasto al “degrado” urbano e di sicurezza, in piena sintonia e coerenza con il processo di criminalizzazione delle marginalità che abitano le nostre città.
Inoltre la questione della prostituzione, la sua normazione ed il discorso pubblico prodotto da mass media e agenzie istituzionali intorno alla sua pericolosità sociale e morale, fanno emergere con chiarezza quanto su di essa si giochino definizioni di lessici, stili di vita e relazioni, fondamentali per stabilire uno standard socialmente e eticamente accettabile, in un periodo in cui intorno alla sessualità, all’autodeterminazione e alla riproduzione si sta giocando una partita decisiva dell’agenda setting italiana.
Fra precarizzazione, femminilizzazione del lavoro e insicurezza si situano quindi la condizione femminile e più in generale la trasformazione delle relazioni di genere, che necessitano di una riformulazione di diritti e status in grado di dare risposte positive alle nuove domande politiche che interrogano oggi la politica.

domenica 12 aprile 2009

giovedì 5 marzo 2009

L'UNIVERSITA' E' LAICA. AMEN.



L’invito da parte del rettore Milanesi di mons. Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, in veste di oratore esperto in tema di biotecnologie e bioetica, ci suona come una incredibile provocazione.
Una provocazione che ha a che fare col metodo e col merito dell’incontro “pubblico” organizzato presso la sala dei giganti del Palazzo del Liviano, sede delle aule della Facoltà di Lettere di quella che finora abbiamo considerato l’Università pubblica e laica degli studi di Padova.
Due piani, quello del merito e del metodo, che sono strettamente legati tra loro: si invita uno dei massimi esponenti del Vaticano, addirittura il presidente della Pontificia Accademia pro-Vita, a parlare di un argomento delicato e complesso come quello dell’utilizzo delle cellule staminali e dei trapianti, senza prevedere alcun confronto diretto con i soggetti che vivono e fanno vivere l’università quotidianamente.
Alla faccia della democrazia.
Ma di che ci stupiamo? La verità che monsignore viene a elargire è una verità dogmatica, unica per definizione, e non necessita di alcun contraddittorio con chicchessia. Per questo il metodo – la chiusura degli interventi – è diretta e logica conseguenza di ciò che monsignore reverendissimo rappresenta. E cioè un’istituzione religiosa cattolica.
La materia poi, è di quelle su cui di certo la Pontificia Accademia per la Vita ha molto da dire e poco da discutere. Lo sappiamo già cosa ci dirà Sua Eccellenza Reverendissima sulla questione delle cellule staminali, un banale pretesto per parlare invece dell’argomento preferito dalla Santa Sede: del valore e dell’inviolabilità della vita fin dal suo concepimento. Pare inconcepibile, ma è così:
“Sulla base di una corretta e completa analisi biologica, l'embrione umano vivente è - a partire dalla fusione dei gameti - un soggetto umano con una ben definita identità, il quale incomincia da quel punto il suo proprio coordinato, continuo e graduale sviluppo, tale che in nessuno stadio ulteriore può essere considerato come un semplice accumulo di cellule” (“PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA. Dichiarazione SULLA PRODUZIONE E SULL' USO SCIENTIFICO E TERAPEUTICO DELLE CELLULE STAMINALI EMBRIONALI UMANE, 25 Agosto 2000)
Eccolo qua il garbuglio che si scioglie come ghiaccio al sole: ci chiedevamo a quale scopo in una facoltà di lettere si proponesse il monologo di un alto prelato su un tema così ostico e tecnico come quello legato alle cellule staminali e i trapianti… ma qui si tratta di pura teologia! Non bastavano le ingerenze sulla fecondazione assistita, sulle convivenze di fatto, sulla libertà sessuale che abbiamo subìto negli ultimi anni: torna dalla finestra la messa in discussione del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, all’autodeterminazione sui propri corpi e alla libertà di scelta. La vita inizia dal suo concepimento!
Noi che di vita vera ce ne intendiamo, che amiamo e respiriamo e addirittura abbiamo la pretesa di pensare che il nostro esserci a questo mondo derivi da un atto di volontà e da una scelta consapevole e senziente, abbiamo da dire due cose al Reverendissimo Presidente della Pontificia Accademia pro Vita.
La prima: queste aule non sono state costruite per fare da palcoscenico a comizi o monologhi dogmatici, ideologici, religiosi e fondamentalisti. La sua presenza in questo senso non è del tutto adeguata. Pensiamo che monsignore reverendissimo non avrà alcun problema a trovare sedi più opportune per esprimere il suo pensiero, di cui peraltro sentiamo parlare molto più frequentemente che della nostra amata Costituzione.
La seconda: sul nostro corpo, sui nostri desideri e la libertà di soddisfarli a nostro piacimento nessuno ha diritto parola. Se non noi stessi, naturalmente. Questo fa parte di un’eredità storica fatta di lotte e conquiste: purtroppo indietro nei secoli non si può tornare. Non se ne abbia a male monsignore, la vita – quella vera - va avanti lo stesso….

domenica 15 febbraio 2009

Liberi di vivere FUORI DAL CONTROLLO Liberi di morire

Ecco la faccia oscena e mostruosa del controllo sulla vita. Stiamo assistendo allo scempio del diritto all’autodeterminazione, alla libertà di scelta e dell’habeas corpus come base fondamentale per la definizione della persona umana.
Ci strappano i corpi, li violentano, li plasmano, li avvelenano, li imprigionano. Corpi degni di esser definiti vivi solo in base alle esigenze strumentali e politiche del momento. Ridotti a nuda vita, continuiamo a non essere uguali.
Ci si accanisce sul corpo di una donna che non ha vissuto per 17 anni, mentre si condannano alla clandestinità sanitaria migliaia di persone solo perché prive di un pezzo di carta chiamato documento di soggiorno. Spingendo alla delazione medici che dovrebbero curare chi ne ha bisogno. Di cosa parliamo quando parliamo di sicurezza?
Agghiacciante in questo contesto l’affermazione del leghista Cota: “Non possiamo far morire una persona di fame e di sete”, mentre gli fa eco Berlusconi: “lasciare morire Eluana sarebbe un’omissione di soccorso”. Mentre lasciar morire di freddo i clochard di Milano è atto di civiltà? E negare di fatto le cure fondamentali agli stranieri senza permesso di soggiorno, un passo avanti della democrazia?
Quello che sta succedendo ad Eluana è la sublimazione dell’arroganza clericale e autoritaria di voler decidere in ultima istanza della vita e della morte di ogni persona. Di definire una volta per tutte ciò che è Bene e ciò che Male, secondo una logica conservatrice, fondamentalista e razzista.
Questa vicenda sta assumendo le caratteristiche di una partita in cui si gioca la difesa di ciò che per noi è un bene irrinunciabile: la piena e inviolabile autodeterminazione dei nostri corpi e dei nostri desideri.
Berlusconi si arroga il diritto etico di decidere sulla vita e sulla morte di ognuno. Dice che Eluana “sarebbe in grado di generare figli”. Con le sue parole volgari e indecenti ci dice due cose: che il potere politico e religioso può decidere quale vita è degna di essere vissuta, e che “generare figli” non è affare di una persona consenziente e in grado di esprimere una libera scelta.
Ma questo lo sapevamo già. Il filo nero degli ultimi interventi legislativi in tema di libertà di scelta, bioetica, riproduzione e modelli familiari disegna un processo di censura della realtà – di quella realtà che vive di autonomia, di laicità, di libertà. Un processo conservatore che punta al controllo totale delle nostre scelte attraverso il controllo totale dei nostri corpi.
Il plauso del Vaticano e la sua ingerenza intollerabile nel criticare il rifiuto del Presidente della Repubblica ci fa capire chiaramente da dove venga questa necessità ed urgenza nell’approvare un decreto che ha davvero poco a che fare con il caso specifico di Eluana.
Così come la minaccia di modificare la Costituzione “sovietica” per quanto riguarda la definizione stessa di necessità ed urgenza per l’adozione di decreti legge contenute nell’articolo 77. Un colpo di mano che servirà ad utilizzare la legislazione d’emergenza per ogni conflitto sociale e politico senza alcuna giustificazione e alcun controllo.
Siamo agitati ma non abbiamo paura. Difenderemo la nostra libertà di scelta, i nostri corpi e la nostra autonomia.