mercoledì 25 giugno 2008

Bologna, Per un 28 giugno de – genere: LiberaMente in Libero Corpo



Aborto, fecondazione assistita, DICO…. da mesi ormai il tema del controllo dei corpi e dell’autodeterminazione di ognun* è sul piatto di una partita politica senza esclusione di colpi.
Da destra a sinistra abbiamo assistito ad una gara al rialzo nel negare, censurare, vietare, arginare e ordinare -ovvero negare- la libertà di scelta e l’inarrestabile ricerca di soddisfazione dei desideri che attraversa ormai tutta la società.
I nostri corpi sono diventati ancora una volta merce di scambio per campagne elettorali e giochi di potere in cui tutti hanno lo stesso obiettivo: governare la vita e prevenire i nuovi conflitti per l’autodeterminazione che già stavano ribollendo sotto ai loro piedi. Hanno provato a schiacciarci su battaglie resistenziali per censurare la rivendicazione delle nuove libertà che già stavamo praticando, inesorabilmente, nella realtà.
Ma hanno fatto un grosso errore. Mentre la parte residuale della sinistra accettava di sedersi al tavolo con le stesse regole, fuori dai palazzi si è dispiegato in più occasioni un conflitto nuovo che ha spezzato i confini della dialettica dei generi, dei diritti, delle identità.
Stiamo proponendo al dibattito politico una prospettiva diversa, che parte dall’autonomia come presa di posizione sulla quale nessuna norma civile o penale può decidere alcunché, dall’autodeterminazione come apertura di infinite possibili declinazioni di desideri e pratiche relazionali, della laicità come conflitto irriducibile a dogmi oscurantisti e censori. Ci siamo liberati dalle identità statiche per sperimentare nuove forme di autodeterminazione e tenere aperte tutte le possibilità di espressione, cambiamento, crescita o messa in discussione delle nostre soggettività. Anche quando sembra che le scelte legislative possano aprirsi ai cambiamenti della società, dei comportamenti e delle scelte, la volontà di normare qualunque aspetto del vivere personale e sessuale cela la speculare volontà di contenere e limitare le possibilità di scelta. Qualunque dispositivo di comando biopolitico contiene necessariamente al suo interno forme di discriminazione, di repressione della diversità e imposizione di modelli di vita omologanti.
Le leggi che governano la vita e la riproduzione, che assegnano ruoli pubblici e privati, e definiscono la liceità e i limiti consentiti alle relazioni, riguardano tutt* e vanno ad incidere sull’autodeterminazione di ogni soggetto che abbia scelto la propria sessualità liberamente.
Non è più possibile ridurre differenze inclassificabili ed incalcolabili a categorie riconoscibili e che riproducano ordinatamente uno schema “naturale” e gerarchico delle relazioni umane.
Se è vero che quarant’anni fa la presa di coscienza delle donne ha messo in evidenza la contraddizione della neutralità della cittadinanza universale, disegnata intorno all’uomo bianco, cristiano etc, aprendo una frattura nella rappresentazione dei diritti di cittadinanza stessi imponendo la loro presenza sessuata, lo è altrettanto il fatto che oggi quella frattura si è moltiplicata. Corre lungo le innumerevoli linee di ruoli e identità spezzate dalla crisi della cittadinanza e dalla modernità liquida. Identità che si sovrappongono, si cumulano, si annullano a vicenda. La nostra prospettiva parte dalla materialità dei conflitti che si esprimono nelle pratiche e che percorrono i luoghi reali in cui viviamo. Pratiche che ognuno di noi agisce attraversando ruoli, identità meticcie, inclinazioni diverse.
Precar*, gay, migrant*, lesbiche, trans gender e tutto ciò che ognuno di noi vuole esprimere… i confini flessibili della cittadinanza non sono più solo sessuati. Si spostano continuamente definendo inclusione ed esclusione, legittimità e devianza, pericolosità e vittimizzazione. Categorie che insistono sulla paura e sull’esclusione del diverso, e ci costringono alla scelta obbligata tra il chiuderci in riserve indiane per tutelarci o in gabbie metropolitane per controllarci. Questo è l’ordine e questa è la sicurezza di cui tutti ci parlano per rassicurarci; ma l’unica sicurezza che abbiamo è che sia dall’autodeterminazione di ogni soggetto, a partire dai suoi desideri e dalle sue esigenze, dalle sue inclinazioni temporanee o permanenti, che dobbiamo provare a definire una nuova cittadinanza non identitaria, flessibile, adattabile e quindi resistente alle trasformazioni soggettive e storiche di cui siamo protagonisti e non spettatori in ogni fase della nostra vita.

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