MA QUALE PACCHETTO
SE LA VIOLENZA E’ SOTTO IL TETTO
Decine di migliaia di persone sono scese in piazza sabato scorso per denunciare una realtà fin troppo taciuta di quotidiana violenza sulle donne. Pur avendo lanciato il corteo, cosa che da anni non accadeva in Italia, come assolutamente separatista, riservato alle sole donne, la partecipazione è stata molto alta proprio per segnalare il latente problema della violenza domestica, che poche volte, se non solo nei casi che sfociano in cronaca nera, riescono a raggiungere le prime pagine dei giornali. Le donne scese nelle strade della capitale hanno voluto evidenziare come a poco servano le norme contenute nel cosiddetto “Pacchetto sicurezza”, approvato qualche giorno fa dal Consiglio dei Ministri, quando le violenze avvengono principalmente all'interno dello stesso nucleo familiare (7 casi di violenza su 10 avvengono fra le mura domestiche per opera del partner o dell'ex partner). Nella sua versione riveduta e corretta il ddl sulla «certezza della pena» (uno dei quattro che compongono il pacchetto sicurezza) contiene novità importanti anche in tema di violenza su donne e minori. In particolare, in caso di violenza sessuale e tratta, viene estesa la possibilità di ricorrere ad incidente probatorio «protetto», ossia in condizioni ambientali e psicologiche più favorevoli alla vittima, anche alle persone maggiorenni. Il provvedimento introduce inoltre l'aggravante per le violenze sessuali a danno di conviventi o coniugi e pene più severe per i maltrattamenti in famiglia (si passa dai 5 anni di reclusione attualmente previsti a 6 anni), che potranno essere accertati anche attraverso intercettazioni ambientali. Prevista inoltre, nel «nuovo» ddl sulla «sicurezza urbana», l'estensione dell'articolo 18 del testo unico sull'immigrazione anche alle donne extracomunitarie vittime di violenza domestica. Un'italiana su tre è vittima di violenza. Quasi 7 milioni (il 31,9%) le donne tra i 16 e i 70 anni che hanno subito almeno una abuso fisico o sessuale. Un milione e 400 mila prima dei 16 anni. Se si considera anche quella psicologica la quota sale ad oltre 12 milioni. Sono il 43,2% di quelle sposate, conviventi o fidanzate. Due milioni e 77 mila di loro sono state oggetto di stalking, quel complesso di atti persecutori, sovente accompagnati da minacce e percosse, messi in atto sistematicamente da ex partner. Dati difficilmente commentabili, è duro e incredibile allo stesso tempo confrontarci ancora, oggi, con tali abusi, proprio nella società libera e protetta che così bene viene descritta e fatta passata come verosimile. Una realtà in cui, in effetti, le vittime rimangono sempre le stesse, all'interno di una cultura intollerante e discriminante. Si parla tanto di sicurezza, tanto impegno politico è speso in questo senso tentando di proporre soluzioni che stimolano, invece, la creazione di aggressori e pericoli ad hoc, senza distinguere, e forse senza volere riconoscere, le principali cause di questi abusi. E ben sappiamo come una lettura distorta dello realtà non solo lasci campo libero a mistificazioni e a false interpretazioni, ma soprattutto come non si possa partire da questi assunti per elaborare una strategia che realmente possa evolvere la mentalità comune rispetto a queste questioni. Ogni anno ricorda l'Istat ci sono 74 mila di stupri tra tentati e consumati, oltre 200 al giorno. Nel 67,4% dei casi si tratta di violenza ripetuta, soprattutto in famiglia. Il 91,1% della violenza sessuale è ripetuta. Ciò significa che ci troviamo di fronte ad uno scenario dove le donne sono vittime all’interno delle loro case, vivono con i loro aggressori e sono avvezze ai loro continui soprusi. L'estraneo è autore del 6% degli stupri e i dati smentiscono lo stereotipo secondo il quale la violenza alle donne è un fenomeno che avviene per strada. E quando la violenza avviene al di fuori del nucleo familiare, i responsabili sono comunque parenti, amici, colleghi, datori di lavoro. Le vittime di violenza domestica non ne parlano con nessuno in almeno un terzo dei casi, e solo il 4,9% cerca l'aiuto di forze di polizia, avvocati o magistrati: appena il 7,3% delle vittime ha denunciato le
violenze subite dal partner, tasso che scende ulteriormente fino al 3,4% negli ultimi 12 mesi.
Ha fatto sì notizia la manifestazione di sabato 24 novembre. Ha fatto tornare in mente tante lotte e conquiste ottenute dal movimento femminista, ma valide solo sulla carta. Ma soprattutto ha reso evidente il fatto che molta strada si deve fare in questo senso e che, probabilmente, su qualcosa di strutturale bisogna intervenire per poter cambiare davvero i numeri della violenza femminile e domestica in Italia.
Una violenza in nome dell'antiviolenza quella di sabato, in cui per prime le manifestanti hanno preferito trincerarsi in nome della propria diversità, anziché tentare di aprire una nuova strada, re-impostando un dialogo con la società e soprattutto gli uomini. Continuare a non coinvolgerli equivale a mantenere la volontà di farli rimanere estranei alla faccenda, credendoli incapaci di comprendere la problematica e di essere anche loro per primi soggetti attivi di cambiamento. Ma che senso può avere tutto questo oggi? Non sarebbe, invece, auspicabile porre le basi per un percorso di dialogo e di revisione del modo di combattere questi problemi? Le donne hanno ben chiaro quello che avviene, ce l'hanno davanti agli occhi tutti i giorni. Non crediamo che una manifestazione ed un movimento che esclude a priori, solo per la loro appartenenza biologica all'altro genere, gli uomini possa essere veramente incisivo. Avremmo preferito vedere tanti uomini in piazza sabato, questo sì sarebbe stato un segnale forte di comprensione del problema e di voglia di rinnovamento. Lasciamoci con la speranza che un giorno siano loro stessi a lanciare una manifestazione in favore delle donne, senza aspettare ipocriti mazzi di mimose l'8 marzo e i fiori per la festa della mamma.
FuXiaBlock