martedì 8 luglio 2008

COMUNICATO POST PRIDE: SIAMO IRRAPPRESENTABILI!

A distanza di una settimana dalla partecipazione al Pride nazionale di Bologna riteniamo di inserirci nel dibattito che si è scatenato in conseguenza dei fatti di piazza VIII agosto.
Abbiamo visto nell'evoluzione della costruzione di questo Pride la possibilità per noi, collettivo biopolitico che da un paio d'anni lavora sull'autodeterminazione e sulla decostruzione del concetto stesso di genere come identità fondamentale, di partecipare alla giornata tradizionalmente dedicata all'orgoglio omosessuale aderendo allo spezzone Queer.
Non facendo parte del movimento bolognese ci siamo ritrovati a leggere nel primo comunicato di Arcigay successivo al Pride delle accuse direttamente rivolte a Facciamo Breccia e ai suoi militanti che ci appaiono decisamente inquietanti se riportate nell'ambito di una realtà quotidiana come quella in cui stiamo vivendo oggi dove discriminazioni, razzismo, omofobia e fascismo si stanno intensificando rapidamente. La continua offerta di controllo sociale mascherato da pretestuosa sicurezza è la forma con cui oggi ogni dissenso, differenza, identità altra rispetto a ciò che è il modello tradizionale oramai putrescente, prova ad essere soppresso e ridotto a silenzio.
Perché durante un appuntamento come quello del 28 giugno qualcuno, nascondendosi dietro alla sigla "organizzatori del Pride", ha ritenuto suo compito stabilire chi ha diritto o meno di parola?
L’utilizzo di formule come “la non violenza è la discriminante per poter appartenere a pieno titolo al movimento lgbt” sono chiarificatrici di qual è il ruolo che qualcuno vorrebbe provare ad avere, ma nessuno può arrogarsi il diritto di stabilire quali sono le discriminanti per far parte di un movimento! Andrebbe ricordato che per essere movimento non sono necessarie – né auspicabili – tessere di alcun genere.
L’origine dell’arresto di Graziella sta nella scelta di non permettere ad una parte consistente del corteo di prendere parola sul palco, nascondendosi dietro al fatto che quello striscione “non era previsto”. Apprendiamo dal comunicato di Facciamo Breccia che anche l’area dietro il palco era presidiata dalla polizia.
Ma quando mai, voi pretesi rappresentanti del movimento LGBT, avete visto un servizio d’ordine gestito dalla polizia? (peraltro, qual è lo scopo di un servizio d’ordine ad un Gay Pride?)
Quali pratiche di movimento prevedono “immediate e ferme conseguenze in tutte le sedi politiche e giuridiche”?
Ci sembra che Arcigay e Arcilesbica stiano utilizzando nel modo più becero l’accusa di violenza contro chi ha tentato, come ogni giorno, di manifestare il proprio dissenso già reso noto durante la costruzione del Pride e fondato sulla neutralità dell’appello proposto dagli organizzatori, dissenso in cui ci siamo ritrovati anche oltre le posizioni di Facciamo Breccia, diverse dalle nostre negli specifici contenuti che abbiamo voluto portare al Bologna Pride.
Quest’accusa di violenza è quella che sempre da esponenti delle stesse associazioni e degli stessi partiti ci siamo sentit* fare anche durante le contestazioni a Ferrara dei mesi scorsi. E cos’è più violento? La scelta di mettere i propri corpi in gioco nelle strade oppure imporre ai corpi delle donne decisioni di altri?
Non è questo il modo di porsi davanti al movimento italiano LGBTQ. Non è accettabile l’uso del paradigma securitario in un ambito che forse era tra gli ultimi a non esserne ancora contagiato. Questo non può che confermare a chi, come noi, non vuole rinunciare ad esprimere le proprie posizioni, che dobbiamo continuare a costruire dal basso un’opposizione forte perché effettivamente nemmeno un Gay Pride è più “sicuro”.
Chi ha fatto la scelta di far intervenire le forze dell’ordine per dirimere un problema strettamente interno al movimento sembra non rendersi nemmeno conto delle conseguenze che questo modo di fare può avere; il nostro modo di prendere decisioni è assembleare, non gerarchico, né poliziesco, ci dispiace doverlo far notare, ma è proprio questo che vi impedisce di rappresentare un movimento: non vogliamo, né abbiamo bisogno di essere rappresentati!
Ancora una volta l’associazionismo legato ai partiti ha dimostrato quanto più gli interessa fare i conti con i propri tesserati piuttosto che con la partecipazione dal basso, ontologicamente eterogenea e quindi sorgente di dissenso.
Sconcertati da questa querelle avremmo voluto che le discussioni successive al Pride bolognese vertessero sui contenuti, a nostro parere nuovi e stimolanti che proprio in questa occasione, per la prima volta ritroviamo più vicini al nostro percorso politico. Vorremmo ripartire da una discussione interna al movimento sulla questione queer, che sta cominciando a trovare spazi anche in appuntamenti nazionali com’è stato quello di sabato scorso.
Alla luce di tutto questo, la nostra scelta non può allontanarsi da quelle fatte finora: continueremo a costruire un movimento libero, laico, autodeterminato.

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